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L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro…

7 Novembre 2006 - Author: velenero - 12 commenti

italia… sì, ma quale?

L’inserimento nel mondo del lavoro ha nel nostro Belpaese un che di kafkiano e, quando finalmente il lavoro arriva, non è mai soddisfacente, si tende ad accontentarsi, si tende ad “arrangiarsi” (verbo molto italiano).

Facendo lo slalom tra proposte farlocche e i vari CoCoCo, CoCoPro, ecc. in cui ti si promettono mari e monti, si arriva per puro e semplice culo a trovare una situazione lavorativa “abbastanza” stabile, “abbastanza” soddisfacente, “abbastanza” onesta… a mio parere tutti questi “abbastanza” sono mortificanti.

Ma il vero problema arriva quando, per un motivo o per l’altro, decidi di cambiare lavoro: il minimo che ci si può aspettare è di sentirsi dare dell’incosciente… “Lasciare una cosa sicura per fare un salto nel vuoto? Sei pazzo!”

Ecco… “lasciare una cosa sicura”… si parla di mobilità, si parla di flessibilità, di mercato del lavoro… ma se senti l’esigenza di cambiare per favorire la tua crescita professionale, perché ormai non metti più passione in quel che fai, in realtà stai facendo un “salto nel vuoto”.

Del doman non v’è certezza… diceva Lorenzo de’ Medici… e quanto aveva ragione!

Questo è l’immobilismo italiano, signori… chi raggiunge una posizione (di qualunque livello), sarà invidiato da chi gli sta sotto e snobbato da chi gli sta sopra… e guai, dico GUAI, a voler cambiare qualcosa: quello è il tuo posto, tienitelo stretto… questa è la filosofia di vita dei nostri signori politici.

E poi si parla di libero mercato, di libera impresa.. sì, come no!

Puoi avere tutte le idee geniali del mondo, ma se non hai un capitale iniziale da investire, le tue idee non ti aiuteranno a pagare le bollette… e allora? Allora o sei ricco di famiglia oppure chiedi aiuto allo Stato… sì, lo Stato, alla fine si torna sempre lì… e lo Stato mica regala soldi a destra e a sinistra, devi essere figlio di qualcuno.

E a chi dice che il lavoro c’è, basta saperlo cercare… rispondo che alla fine, in certi settori, il lavoro c’è solo a Roma e a Milano e, se anche decidi di scendere a compromessi con le distanze geografiche, finirai per raggiungere una grande consapevolezza: dietro i “uè figa” dei datori di lavoro milanesi e dietro gli “annamo, famo” dei datori di lavoro romani c’è sempre lo stesso medesimo pressappochismo, unico tratto distintivo riscontrabile da Bolzano a Ragusa.

E allora cosa rimane da fare? Piangersi addosso? No! Mai!

Si va all’estero! Evviva la fuga di cervelli!

E a chi rimane, consiglio di applicarsi a cambiare il primo, ridicolo, articolo della Costituzione.

Categories: civitas

Discussion (12 commenti)

  1. Hai ragione la nostra condizione lavorativa è molto scarsa….c’è anche da dire che il mercato,indipendentemente da noi,si è evoluto sempre di più verso le libere professioni,mentre noi cerchiamo disperatamente un posto statale.Ormai lì è strabordante di gente,molti di cui incompetenti.Allora è meglio inventarsi qualcosa,ma il problema del capitale iniziale resta!
    a presto

  2. by toso

    Porca miseria hai talmente ragione che a leggere il tuo post mi sono depresso. Ciò che dici a parer mio è, ahimè, una sintesi pressochè perfetta della nostra situazione.
    La prossima volta, però, cerca di indorare la pillola perchè così è dura da buttare giù
    🙂

  3. è per questo che bisogna riscriverlo il primo articolo.

  4. per toso, con ottimismo:
    i nostri antenati sono emigrati per non farlo fare a noi…ed invece eccoci, tutti in fila alla frontiera.
    Credo che stiamo sbagliando.
    Partiamo perchè qualcuno ci sta mandando via, mentre noi siamo fuori a fare quelli che “viaggiano” , quelli che restano, alcuni, almeno, mandano all’aria tutto.
    Sarà pure populismo, ma come diceva il grande Rino:
    …è il mio paese ed io ci sto!

  5. by babelez

    io sarei per una deportazione temporanea dell’intera popolazione italiana in un stato efficiente…che il viaggiare apre la mente ed educa anche…poi dopo questo stage colletivo ognuno torna a casa sua. magari molti tornerebbero civilizzati! io però resterei fuori in giro per il globo!

  6. by Dblk

    Insomma Scalfaro aveva detto che questo articolo sottolineava l’importanza del lavoro in quanto l’uomo si realizza in toto solo in questo e con questo. A questo punto le premesse non c sono più e quindi ti do ragione. Sarebbe il caso di rivederlo. Ciao, Dblk

  7. by velenero

    @elettra: io mi sono inventato che parto… 🙂

    @toso: scusami… ma è il momento di pessimismo&fastidio!

    @cape: sostituire la parola “lavoro” con la parola “nepotismo” come la vedi?

    @viadellaviola: il problema è che io non lo sento come il mio paese…

    @babelez: ottima proposta…

    @dblk: si accettano proposte…

  8. by Ed

    Quanto sono sacrosante le tue parole!
    Faccio parte di quella generazione che “doveva” avere un posto fisso, una casa e una famiglia e guai a cambiare.
    Ed erano anni in cui si poteva anche cercare di cambiare lavoro, ma si stava fermi come scogli.
    E’ un peccato però che si debba andare all’estero perché tutto sommato questo Paese non sarebbe male. Però se mio figlio mi dicesse “Vado” lo incoraggerei.
    Che tristezza!

  9. by Vincent

    Bravo, bell’articolo. L’avrei voluto scrivere io, copione.

  10. Io sono l’incarnazione della mobilità lavorativa, cambio un lavoro all’anno, più o meno. Forse non sopporto la noia. Comunque questo tuo odio verso Milano e Roma è insopportabile, neh!

  11. by Nandina

    Il mio contratto di lavoro è appena diventato a tempo indeterminato.
    E ho addosso quel peso per cui se e quando deciderò di cambiare lavoro mi sentirò dire da tutti, ma proprio tutti tutti… “ma sei pazza, lasciare una cosa certa per un salto nel vuoto?”…. già già già… ma possibile che non si possa più parlare di “crescita professionale”, passione, incoscienza?
    … mi sento un po’ “in carcere” (ma non mi lamento, per carità!) per non parlare dell’alcatraz telematica che peggiora sempre di più, ora non posso nemmeno più commentare alcuni dei miei blog preferiti… questo ancora sì, ma per quanto?
    🙁

  12. […] Io le cose che ha detto lui nella sua lettera, le dicevo già nel 2006. […]

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